In tanti conosciamo le ragioni per cui Valencia è così famosa nel mondo: la rinomata paella, il gradevole clima, le dimensioni “a misura d’uomo”, le spiagge sconfinate, la futuristica Città della Scienza, le file di palme che le hanno regalato il soprannome di “California d’Europa” e i chilometri di verde che l’hanno resa negli ultimi decenni tra le mete più appetibili per migliaia di turisti, nonché una delle città più vivibili del pianeta.
Sono gli stessi motivi per i quali l’ho sempre amata anche io e l’ho designata come mio habitat ideale, ma vivendoci ho capito quante inaspettate sorprese sia in grado di regalare il meraviglioso capoluogo della Comunitat Valenciana. Quel che in molti ignorano, probabilmente, è che Valencia è molto più di una località turistica di massa, poiché nasconde in sé un’anima alternativa pulsante, che ad un occhio attento non può assolutamente sfuggire.
Il barrio del Carmen, il quartiere storico della città, ne è un esempio lampante: un centro dalle origini prevalentemente arabe e romane, quasi interamente ricostruito, vivacizzato da bellissime opere di street art di artisti più e meno illustri, che rimandano al cuore underground valenciano, vivo e decisamente percettibile al di là dei molti restauri.
Passeggiandoci abitualmente, nei momenti liberi oppure di passaggio verso un’altra destinazione, la mia attenzione viene spesso catturata dai dettagli di questa zona dalle molteplici identità, come luogo di svago e leggerezza, ma anche di bellezza, riflessione e contemplazione.
Chi era giovane a Valencia negli anni ’90 lo sa per certo, lo rammenta e lo racconta: parlando con la gente del posto, ho scoperto che el Carmen era il posto preferito dai punkys, fatto com’era di feste alternative, alcol sottocosto, musica indipendente e ritrovi dei giovani più “controcorrente” dell’epoca. Dallo sguardo di chi narra di quei momenti di baldoria, si evince la nostalgia di quei tempi, quando tutto era meno turistico e patinato e molto più selvaggio, ma al tempo stesso autentico.
Sebbene oggi l’atmosfera che si respira in quelle strade sia tutt’altra, l’arte urbana del Carmen è capace di rievocare istantaneamente il tempo che è stato, come una magdalena di Proust dai colori brillanti, e che pur oltrepassando di gran lunga i confini del turismo mainstream è diventata nel tempo motivo di attrazione per i visitatori.
Infatti, sono sempre più di gran voga i tour organizzati dedicati a questi graffiti, proposti da esperti in materia che pianificano visite guidate per i murales più suggestivi della città, spiegandone la storia e illustrandone particolari impossibili da conoscere per un profano.
Mentre mi addentro tra le labirintiche mura della ciutat vella, non posso non notare che, nonostante l’evidente riqualificazione, nel rione centrale si scorgono qua e là edifici ancora abbandonati, mura scorticate, costruzioni pericolanti che rievocano un po’ l’antico fascino decadente del quartiere, permettendo una fusione stridente, ma al tempo stesso assai intrigante, tra il vecchio e il nuovo, il fatiscente ed il fiorente.
Proprio qui, infatti, camminando tranquillamente per i vicoli, magari sorseggiando una horchata (in valenciano: orxata) bella fresca, non è affatto difficile imbattersi all’improvviso, svoltando per un angolo apparentemente anonimo, in un dipinto di grandi dimensioni che adorna qualche parete un tempo spoglia, ed è impossibile non restare colpiti dall’impatto multicolore e dall’imponenza di una tale visione.
Tutto ciò che posso fare è fermarmi a contemplare meravigliata l’opera che mi si staglia difronte, chiedendomi se l’effetto sorpresa fosse stato o meno intenzionale da parte dell’artista.
Non è raro, perdendosi nelle stradine tra le piazzette, le chiese storiche, negozietti e localini, tra un resto e l’altro dell’antica muraglia araba, poter scovare strade interamente affrescate (come la famosa “Calle de los Colores”), un elefante in movimento, una fumatrice che ti guarda dritto negli occhi, una cantante celebre vestita di rosso in piedi all’interno di una paella gigante, a braccia spalancate, realizzata magistralmente in uno stile che non ha nulla da invidiare ai grandi maestri surrealisti, vorticosi tribali policromatici, le opere concettuali ormai conosciute in tutto il mondo dell’artista valenciano Deih.
In alcuni punti della città è anche possibile ammirare le straordinarie figure di stampo classico del duo valenciano PichiAvo, dei quali ho potuto fortuitamente apprezzare i lavori grazie ad una mostra proprio nel Carmen, presso un ex convento che ora è destinato agli eventi culturali.
Se si passa per Valencia, ma anche se ci si vive, oltre alle bellezze da depliant di indubbia attrattiva, non si può non trascorrere qualche ora ad ammirarne i graffiti, a godere di questa esplosione di creatività sotterranea che forma parte a pieno titolo della sua identità e che è capace, come solo il genio umano sa fare, di trasformare anche il degrado in un’opera d’arte.